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Per una buona scuola

Con il buono-scuola, dunque, i fondi statali – sotto forma di “buoni” non negoziabili (vouchers) – andreb- bero non alla scuola ma ai genitori o comunque agli stu- denti aventi diritto, i quali sarebbero liberi di scegliere presso quale scuola spendere il buono in questione. Il valore del buono-scuola si determina dal rapporto fra ciò che lo Stato spende attualmente per un dato tipo di scuola e il numero degli studenti che frequenta quel dato tipo di scuola.
Il buono-scuola amplia la libertà delle famiglie; rende più efficienti – tramite la concorrenza – la scuola stata- le e quella non statale; è una carta di liberazione per le famiglie meno abbienti. La proposta del buono-scuola è la proposta di una giusta terapia per le difficoltà della scuola italiana. È una terapia che non è né di destra né di sinistra. È una buona idea, una soluzione ragionevole di un problema urgente. Se un idraulico ripara una fogna che si è rotta, la riparazione è di destra o di sinistra? Se un chirurgo conduce a buon porto una difficile operazione, non ha alcun senso chiedersi se il suo lavoro sia di destra o di sinistra. È così, allora, che ragionevoli “uomini di sinistra” e ragionevoli “uomini di destra” hanno pro- posto e difeso l’idea di buono-scuola esattamente quale adeguata soluzione di un problema urgente. E sarebbe forse tempo di farla finita con l’idea che è buono tutto e solo ciò che è pubblico; che è pubblico solo ciò che è statale; che è statale tutto quello che può essere preda dei partiti. E dobbiamo chiederci: svolge un migliore servizio pubblico una scuola statale inefficiente oppure una scuola non statale ben funzionante, meno costosa, più efficiente? È “più pubblica” una scuola non statale efficiente ovvero una scuola statale improduttiva e sciupona?
Ma ecco la prima obiezione contro la proposta del buono-scuola: la scuola è un settore strategico, dun- que non può venire lasciata al “mercato”. A costoro re- plichiamo in modo deciso e secco: proprio perché la scuola è un settore strategico, essa va gestita mettendo in competizione scuole statali e scuole non statali. E ag- giungiamo: niente è più necessario del pane – quello del pane è sicuramente un settore strategico –, eppure noi abbiamo il pane buono ogni mattina, per la ragione che se un forno ci servisse male noi avremmo la possibilità di servirci da un altro fornaio. Adam Smith docet. Ed è così, val la pena insistervi, che la competizione è la più alta forma di collaborazione.
Altra obiezione – abbracciata da più parti – è che, in re- gime di buono-scuola, poche famiglie sarebbero in grado di scegliere la scuola adeguata per i loro figli. Tale presa di posizione è un affronto alla democrazia (elettori a diciotto anni, tanti italiani – uomini e donne – sarebbero, ancora, più avanti negli anni – incapaci di far la migliore scelta per la scuola dei propri figli). Simile idea, oltre che un affronto alla vita democratica, è un’idea falsa, nella generalità dei casi: anche nei paesi più sperduti della nostra Penisola, pu- re la mamma meno colta e il padre più distratto sanno qual è la maestra più brava, più disponibile, più umana; e sanno quali sono i docenti più validi della locale scuola media; e vanno dal direttore didattico o dal preside a chiedere e ad insistere perché il loro figlio o la loro figliola venga iscritta in una sezione piuttosto che in un’altra. L’interesse è sorgente di energia per la cattura delle informazioni. In ogni caso, se un genitore sbaglia, sbaglia per suo figlio; i politici possono sbagliare per intere generazioni.
La verità è che le scuole statali serie non hanno nulla da temere dall’introduzione del buono-scuola. Temono la concorrenza le scuole poco serie – siano esse statali o non statali – e tutti coloro che atterriti alla sola idea di dover competere con scuole magari meglio organizzate e in cui operano colleghi più preparati, preferirebbero evitare qualsiasi confronto e soprattutto il giudizio degli utenti.
All’obiezione secondo cui la competizione, intro- dotta nel sistema scolastico, avrebbe come esito la ne- gazione dell’eguaglianza, di scuole uguali per tutti, c’è da replicare, come già accennato in precedenza, che nessuna scuola è e sarà mai uguale all’altra; mentre tut- te le scuole, quelle statali e quelle non statali, possono migliorare sotto lo stimolo della competizione.
Critiche inconsistenti contro le scuole a orientamento confessionale

È difficile far comprendere a tanti laicisti statali- sti, e quindi antiliberali e conservatori, che quei pochi cattolici schierati a difesa della scuola libera – e non solo loro, ma anche i sostenitori delle scuole laiche dell’ANINSEI – lottano per una grande cosa: la libertà d’insegnamento. E a quanti sostengono che le scuole a orientamento confessionale dovrebbero venir can- cellate perché “fabbriche di intolleranza”, va ricordato che: proibire e soffocare le differenze può essere – come affermato anni fa dall’allora arcivescovo di Parigi, card. Lustiger – la prima causa della loro violenta esplosione. In Germania esistono scuole neutre e scuole confessio- nali, protestanti e cattoliche. Le diversità di visioni del mondo e di valori scelti sono l’essenza della società aper- ta. Proibire le scuole a orientamento confessionale o comunque farle morire per mancanza di fondi equivale alla negazione della società aperta. Ma davvero sareb- be una grande conquista per l’ Italia la scomparsa delle scuole libere, laiche e cattoliche, o anche del Liceo israelitico di Roma e di Milano? La società aperta è chiusa so- lo agli intolleranti. Di conseguenza, non esistono ragioni per proibire le scuole a orientamento confessionale, se queste si inseriscono nel quadro dei valori della nostra Costituzione. Negare la presenza delle scuole a orien- tamento confessionale significa distruggere l’esistenza di pezzi della nostra migliore storia e proibire sviluppi futuri di questa. Ed è opportuno far qui presente che, per esempio, in Belgio accanto a scuole libere di orien- tamento cattolico e protestante, troviamo anche istituti gestiti da autorità religiose ebraiche e islamiche; e scuole induiste e islamiche sono in funzione nei Paesi Bassi.
E le cose non si fermano qui, giacché lo statalista anticlericale aggiunge che le scuole a orientamento confessionale sarebbero – quasi ex definitione – centri di formazione acritica. Dunque, per esempio, la “scuola cattolica” consisterebbe di professori dogmatici e studenti acritici. Tutto questo sulla base dell’idea che un credente non può che essere acritico. Non c’è bisogno di richiamare Max Scheler per venire a conoscenza del fatto che, per esempio, una fede cristiana consapevole favorisce e potenzia menti critiche. Basterà qui richiamare il fatto che Newton era cristiano, che lo fu Kant, e prima di loro lo furono Cartesio e Pascal. Dunque: Cartesio, Pascal, Newton e Kant – tutti acritici perché cristiani? Acritici: Agostino, Tommaso, Scoto, Ockham? E davvero critici solo gli statalisti anticlericali? Hilary Putman è un ebreo osservante: anch’egli, dunque, vitti- ma dell’indottrinamento e mente acritica, sprofondato nel più bieco dogmatismo e un pericolo per la demo- crazia?
I laicisti dovrebbero essere più attenti e meno dog- matici e meno acritici nei loro pronunciamenti e nelle loro scomuniche. Il laicismo, subito coniugato con lo statalismo, contrasta con la prospettiva laica della con- cezione liberale. Il laico non è un laicista. E un laicista non è un vero liberale. Lo Stato liberale, cioè laico, non ha un agnosticismo da privilegiare o da imporre. L’a- gnosticismo – che poi si impasta con il rifiuto di ogni fede rivelata – è una concezione filosofica che, in una autentica società aperta, convive con altre concezioni filosofiche e religiose della vita – è una concezione ri- spettabile, ma non può pretendere di essere onnivora, di ergersi a “religione di Stato”, e a giudice inappellabile di altre scelte di concezioni della vita, non può porgersi come unica prospettiva del sistema scolastico, e presu- mere di cancellare da questo sistema quello che secoli di storia hanno costruito e ci hanno tramandato: le visioni religiose della vita e della storia – orizzonti di senso e di valori entro i quali spendere la vita. Un sistema sco- lastico che al suo interno non favorisce l’istituzione dì scuole a orientamento religioso proibisce lo sviluppo
delle diverse identità; è frutto di menti indottrinate e dogmatiche cariche di clericalismo rovesciato.
Si ripete, sempre da più parti, che le scuole priva- te – e segnatamente quelle cattoliche – sarebbero “luo- ghi di indottrinamento”, a differenza delle scuole statali viste come centri di costruzione di menti critiche. È chiaro che siamo di fronte a un’accusa generica e ge- nericamente infamante. Insegnanti critici si trovano in scuole statali e in scuole non statali; così come guarni- gioni di insegnanti dogmatici si trovano in scuole statali e non statali. Solo che dagli insegnanti dogmatici delle scuole statali, le famiglie, che non hanno la possibilità di mandare i propri figli in altre scuole, non possono facilmente difendersi. E che il dogmatismo abbia co- stituito una malattia grave di tanti docenti, soprattutto negli anni passati, è testimoniato dall’estesa diffusione di non pochi libri di testo – per esempio, di filosofia, letteratura, storia – non costruiti di certo da menti scientifiche, aperte, capaci di dubbi e problematiche, libri di testo che non hanno sicuramente contribuito a formare menti critiche.
Altra obiezione, questa volta da parte di un noto giurista italiano: la Scuola deve rimanere saldamente e totalmente nelle mani dello Stato a motivo del fatto che è soltanto la scuola pubblica in grado di garan- tire la formazione del cittadino. Ed ecco la replica di Angelo M. Petroni: «La tesi è semplicemente falsa sul piano descrittivo (qualcuno può pensare che il cittadi- no inglese formato ad Eton sia peggiore del cittadino italiano formato nel migliore Liceo statale italiano?). Ma evidentemente è ancora più inaccettabile sul piano dei valori liberali. Dietro di essa vi è l’eterna idea dello Stato etico, di uno Stato che ha il diritto di formare le menti dei propri cittadini/sudditi, sottraendo i giovani alle comunità naturali e volontarie, prime tra le quali quella della famiglia». L’introduzione del buono-scuola attuerebbe l’unica soluzione compatibile con le regole di una società aperta: la possibilità di scegliere tra scuole diverse quella più affine alle proprie convinzioni cul- turali, filosofiche e religiose. Solo la varietà, diversità e pluralità delle scuole possono garantire la libertà, che viceversa è negata dal monopolio statale nella gestione della scuola.

 

Da “Il buono-scuola per una buona scuola” di Dario Antiseri